L’ emergenza sanitaria che avversa il mondo ha posto tutta la popolazione in condizione di incertezza, instabilità e timore. La sensazione è quella di trovarsi in guerra a combattere contro un subdolo nemico, invisibile ed odioso, capace di serpeggiare sibillino tra le nostre più care abitudini, rendendo impossibili le nostre espressioni di umanità traducibili in incontri, strette di mano, baci, abbracci…quasi a volerci insegnare, brusco e repentino, una nuova forma di “volere bene”, l’isolamento umano. Isolamento, uscite contingentate, sospensioni dal lavoro da una parte ma anche lotta in trincea, intrepida ed indefessa, per medici ed operatori sanitari. Lo Stato, che pure fa sentire audace la propria presenza, emana decreti ed ordinanze per il rispetto delle misure di sicurezza con l’instancabile ambizione di cercare di contenere il dilagare dei contagi.
Come è già noto, severe e rigorose sono le leggi che tutelano la salute e la sicurezza dei lavoratori specialmente in un periodo come questo, dove insorge un rischio finora sottovalutato: il rischio biologico!
Questo fattore di rischio è chiaramente presente nelle attività sanitarie come per esempio studi medici, studi dentistici, ospedali e in tutte le attività affini alle precedenti.
In veste professionale mi sono imbattuto in varie problematiche da risolvere per i miei clienti, al fine di garantire la salute e sicurezza dei propri lavoratori attraverso lo studio e l’elaborazione di linee giuda, protocolli rigorosi e i diversi aggiornamenti sulla valutazione del rischio derivante dall’esposizione ad agenti biologici.
La norma cardine della sicurezza sul lavoro prevede che quando il rischio non può essere eliminato, deve essere ridotto alla fonte, come, per esempio utilizzando correttamente i dispositivi di protezione individuale che il DATORE DI LAVORO deve mettere a disposizione dei propri lavoratori.
È proprio ai sensi dell’art. 2087 c.c., che il datore di lavoro è tenuto ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni ed è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Viceversa, il lavoratore non ricevendo gli ADEGUATI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE può rifiutarsi, temporaneamente, di compiere le proprie mansioni in virtù dell’inadempienza del datore stesso, al fine di non compromettere la propria vita, secondo quanto stabilito dalla sentenza 836 del 19.01.2016 della Suprema Corte di Cassazione. Il datore di lavoro, adottando la diligenza del bonus pater familias, dovrebbe concedere e fornire tutti i Dpi necessari ai lavoratori al fine di permettergli il fluido e sereno espletamento delle mansioni.
A tal proposito il mio accorato pensiero si rivolge a tutti gli operatori del servizio di emergenza – urgenza. Infatti, gli operatori del 118 di cui lavoratori e volontari (perché il rischio non discrimina nessuno) si imbattono quotidianamente in un minaccioso problema: l’assegnazione DEI CORRETTI DPI.
Nonostante vi sia una realtà indisponibilità e irreperibilità dei detti DPI, per i diretti destinatari , l’assegnazione non avviene adeguatamente in ragione del fatto che l’Istituto Superiore della Sanità su indicazione del Ministero della Salute, ha emanato almeno tre indicazione che hanno del tutto disorientato gli operatori del campo sanitario.
Infatti l’ISS ha prima indicato di utilizzare le mascherine di tipo ffp2, poi le mascherine chirurgiche e poi ancora le ffp2 con mascherine chirurgiche.
Dai dati scientifici alla mano e cioè:
Il diametro di un virus Covid è di 0,12 micron (milionesimi di millimetro), il diametro del filtro di una ffp2 è di 0,20 micron quindi il virus può accedere tranquillamente.
Il diametro di una ffp3 è di 0,023 micron e quindi non passa il coronavirus
È evidente che in un periodo come questo ci sono dei seri problemi organizzativi, tuttavia non bisogna sottovalutare i rischi corsi dai lavoratori cosiddetti “esposti”.
L’ appello accorato è quello della corretta assegnazione dei DPI e dispensa delle corrette modalità di utilizzo. Diversamente non sarebbe da condannare se questa tipologia di lavoratori rivendicasse il proprio diritto a “non lavorare” come modo per preservare la propria integrità psicofisica! Non si tratterebbe di interruzione di pubblico servizio nè di inadempienza contrattuale, si tratterebbe di esercitare diritti sacri e Costituzionalmente garantiti, come quello alla salute e quello alla vita. Mai come in questa situazione vita salute e lavoro si intrecciano in modo indissolubile diventando l’uno conditio sine qua non dell’altro.
Senza salute non si lavora, non lavorando non possono salvarsi vite umane.
La verità è che va data assoluta priorità a chi su “questo campo minato” ci milita ogni giorno durante il proprio turno di lavoro.
Da parte mia c’è un pensiero e un appello mesto affinché il comparto sanitario sia tutelato e approvvigionato al meglio possibile di protezioni per salvare la vita propria e degli altri. È con assoluta vicinanza, che pur rimanendo distanti con fede nel monito delle istituzioni, che mi rendo disponibile a consulenza in quest’ ambito e collaborazione con le realtà che vivono questo struggente problema in modo costante.
Per. Ind. Gaetano Romanazzi
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